Titolo: L'uomo che viaggiava con la peste
Autore: Vincent Devannes
Neo edizioni - 2012
Prezzo:
€ 15.00
ISBN:
978-88-96176-12-2
Pagine:
192
Traduzione:
Camilla Diez
Quarta di copertina:
1950. Un uomo senza nome fugge da un’Europa
lacerata dalla guerra per un misterioso crimine commesso. Al di là
dell’oceano c’è l’Argentina. Mentre la lotta anticomunista si sta
organizzando in tutto il mondo, Albert Dallien – questo il nome che gli
verrà dato – comincia la sua nuova vita in una Buenos Aires carnale e
impenetrabile, rifugio di criminali nazisti, di traffici e servizi
segreti deviati, dove l’unica cosa che conta è scegliere il ruolo da
giocare e farlo nel miglior modo possibile.
L’uomo che viaggiava con
la peste, partendo da una precisa ricostruzione storica, schizza il
ritratto intimo di un’epoca che ha riciclato senza scrupoli la parte più
buia della nostra storia. Con uno stile rigoroso e avvincente, Devannes
traccia la parabola di un uomo segnato da una colpa oscura e dalla
continua negazione della propria identità, quasi fosse lo specchio di un
mondo che stentava a trovarne una.
Recensione:
di Franco Casale (Capitano Alatriste)
Interessanti quelli di Neo. E hanno le idee molto chiare su cosa vogliono pubblicare:
cerchiamo opere viscerali, amorali, irriverenti, dissacranti, scrivono in calce sul loro sito. E questo L’uomo che viaggiava con la peste di Vincent Devannes
di certo viscerale lo è.
Subito
una considerazione: se il manuale del bravo scrittore ci suggerisce che
l’incipit, ovvero le prime righe che introducono alla storia, deve
catturare l’attenzione del lettore e trascinarlo dagli scaffali della
libreria fino alla cassa, in questo romanzo tale regola è certamente
disattesa.
Ma qui stiamo parlando di
un testo complesso nella sua
semplicità, ben fuori dai canoni della narrativa di genere e ritengo che
la cassa non sia stato l’obbiettivo primario di quelli di Neo nel
consegnarcelo. Loro, buon per noi, preferiscono investire in una
linea
editoriale coraggiosa tesa a fidelizzare un certo, e credo anche vasto,
pubblico di lettori che non ne possono più di sentir parlare di
sfumature varie e di vampiri innamorati. E questo è già un merito. (date
un’occhiata alle loro altre proposte qui
http://www.neoedizioni.it/neo/ ; ne vale proprio la pena)
Tutto
comincia con lo sbarco di un tale che, pur essendo il narratore, non ci
spiega chi è, da dove viene e perché. E se non fosse scritto sulla
quarta di copertina, non si riuscirebbe neanche a inquadrare il periodo
storico nel quale ci troviamo.
È il 1950, e per capire che siamo in
Argentina, per la precisione al porto di Buenos Aires, bisogna arrivare
alla settima pagina. Bene. Quel tale, appena sceso dalla nave dopo aver
attraversato l’oceano Atlantico, ne incontra un altro. Pare che lo stia
aspettando. Dalle poche battute che si scambiano cominciamo a scoprire
qualcosa: il tale è francese, ha imparato un po’ di spagnolo durante il
viaggio, improvvisa un nome,
Albert Dallien, e si affida all’altro tale
che lo porta in un caffè dove incontrano un prete. Questi gli chiede se
ha una certa lettera di presentazione quindi lo accompagna da una
persona importante che diventa il garante della sua nuova vita senza
fare troppe domande.
Così cominciano le vicende del
presunto
Albert Dallien in terra d’Argentina. E comincia anche la nostra
avventura di lettori,
un po’ disorientati, un po’ curiosi, alla ricerca
di un filo narrativo rassicurante che ci permetta di capire che cosa ci
sta a fare Albert Dallien in Argentina e perché è presunto, chi è la
persona importante che gli fa da garante e da chi è stata inoltrata
quella lettera di presentazione.
La storia si dipana lentamente,
magari con un po’ di indolenza, lasciando qualche indizio qua e là, e ci
costringe a rileggere per far collimare tempi verbali e salti
temporali.
Lo stile è asciutto, caratterizzato da pennellate descrittive
rapide e intense, ora d’impressione, ora d’espressione. Vediamo solo
quello che chi racconta ci fa vedere, tutto il resto è fuori fuoco, come
fosse marginale. Ci vuole attenzione per mettere a posto i tasselli di
una narrazione frammentata e funzionale allo stato d’animo del
protagonista che dipinge cose, situazioni e persone con i colori di un
distacco a volte irritante. Non si avverte passione in Albert Dallien.
Le rare tracce di sentimento vero sono annacquate da un fosco
senso di
solitudine che fa intendere il fardello di una colpa non espiata. E le
poche volte che cede alla tenerezza lo fa con quella equivoca
accettazione che lo caratterizzerà per tutto il romanzo. Vorremmo
provare a innamorarcene,
ma lui ci disillude, sempre, con un disincanto
che forse non gli appartiene, ma che comunque vive e ci impone, senza
mezzi termini. Non è lui l’eroe, ci dice, anzi, di eroi, attorno a lui,
non ce ne sono proprio.
Ma non vorrei svelare troppo le vicende
narrate perché è bene che il lettore, come ho fatto io, si cali a suo
modo nel mondo di Albert Dallien, immigrato clandestino, medico
illecito, informatore, faccendiere e altro ancora, e viva le
vicissitudini della sua nuova esistenza con le proprie aspettative
emotive. La storia è importante, e
racconta di puttane e papponi
arricchiti, di scaltri funzionari e governi complici, di complotti
internazionali, di trafficanti di ogni genere, di guerriglieri
idealisti, di rifugiati nazisti riciclati e protetti da un sistema
corrotto che funge da grande lavatrice. Tutti attori, noti o meno noti
che siano, che recitano la loro parte in quel certo dopoguerra ricco di
intrighi e miserie all'ombra della minaccia comunista.
E al centro di tutto lui, il nostro Albert, con un soprannome,
il cane di Châtellerault,
che è l’unico residuo di un passato occultato anche a se stesso, e
quindi a noi, che rimaniamo in attesa. Finché capiamo che tale attesa è
la
chiave di lettura che aspettavamo.
In un gioco di ruolo che viene
perseguito con cauto opportunismo, Albert Dallien ci racconta di quelle
miserie, senza sconti, lungo un percorso di riscatto che affronta quasi
con candore partendo dai bassifondi di Buenos Aires, defilandosi
all’apparenza dal contesto di degrado sociale e morale nel quale si
muove. E non ci rivela il suo mistero.
- Se incrocio uno specchio, non ho alcun ricordo di colui che ha utilizzato quella faccia prima di me. -
Chi
è stato Albert Dallien prima di arrivare in Argentina? Cosa avrà mai
fatto per essere costretto a espatriare clandestinamente? E perché nel
suo racconto non c’è traccia di quei fatti?
Tutto su di lui rimane
sospeso in attesa di una rivelazione. Gli eventi sono raccontati solo
guardando avanti. Come se, attraversando l’oceano, Albert avesse varcato
la soglia di una dimensione che ha sostituito la precedente e lo ha
visto rinascere, come uomo nuovo, in un mondo nuovo.
-
Sull’Atlantico il cambiamento d’emisfero è sorprendente. Le sere in cui
ti annoi guardi il cielo, finché una notte non scorgi la Croce del Sud:
l’immutabile è mutato. Ed è un cambiamento continuo, perché muta la
misura stessa delle cose. -
Con una scrittura abile nel
cambiare registro emotivo all’occorrenza e una rara capacità
introspettiva, Vincent Devannes
ci regala l’affresco di un’epoca
controversa senza giudicarla, lasciando a noi, da bravo cronista,
il
compito di farlo.
Menzione speciale alla cura dell’edizione da parte
di questa giovane e agguerrita Casa Editrice:
una raffinata grafica di
copertina e neanche un refuso di stampa. Il piacere di leggere un bel
libro è anche questo. E non è da tutti.
Qui la stessa recensione sul forum con annessa discussione.