Stiamo guardando la nostra
serie preferita in televisione: la scena è altamente drammatica, il
protagonista sta facendo a pugni con l’antagonista proprio a ridosso di
una scogliera, ogni tanto i piedi dell’uno o dell’altro scivolano
pericolosamente sul bordo (facendo rotolare terra e sassi giù dal
precipizio); il nostro eroe sembra avere la meglio, quando un colpo ben
assestato dell’antagonista gli fa perdere l’equilibrio. Il poverino
barcolla e cade nel vuoto. Cuore in gola (il nostro): l’eroe ha avuto la
peggio? La camera scende a inquadrarlo: eccolo è ancora vivo, con le
mani aggrappate alla scogliera e i piedi nel vuoto. Sotto di lui gelide
correnti pronte a inghiottirlo. – FINE – Titoli di coda.
E il nostro eroe? Per sapere se e come se la caverà dobbiamo attendere la prossima puntata.
Questo è un cliffhanger (che significa letteralmente “appeso alla scogliera” ), un espediente narrativo che consiste nell’interrompere la narrazione in corrispondenza di un colpo di scena, prima della sua risoluzione, in modo da tenere lo spettatore in tensione e con la curiosità di vedere la puntata successiva.
È una tecnica molto usata nelle serie televisive, dove spesso c’è una trama più breve, che si sviluppa e si conclude nell’arco della puntata, e una sottotrama che dura per tutta la serie o addirittura per più stagioni (e di solito nel finale di stagione c’è l’interruzione più emozionante e più brusca, perché deve tenere viva la fedeltà dello spettatore per un lasso di diversi mesi).
Non pensate che questa sia una tecnica solo televisiva e cinematografica: era già stata sfruttata da scrittori illustri come Alexandre Dumas padre con “I tre moschettieri” e Victor Hugo con “I miserabili”, entrambi usciti per la prima volta come romanzi d’appendice, ossia a puntate, pubblicati a cadenza settimanale su quotidiani.
E se non scriviamo a puntate? Questa tecnica si presta bene per tenere alto l’interesse del lettore a ogni fine capitolo. C’è chi la usa per introdurre nel capitolo 1 il protagonista, farlo conoscere al lettore e lasciarlo in una situazione aperta (meglio se rischiosa) a fine capitolo. Il capitolo 2 si apre con un altro personaggio e con una storia apparentemente slegata dalla precedente, che si conclude con un'altra situazione aperta, per riprendere nel capitolo 3 le fila del primo o aprire una terza trama con un terzo protagonista (che manco a dirlo verrà lasciata in sospeso). L’importante è che alla fine tutte le situazioni aperte vengano risolte e possibilmente in maniera originale e credibile, altrimenti è meglio che i lettori infuriati non vengano a sapere il nostro indirizzo di casa…
Stephen King è maestro in quest’arte, ma anche un certo Simone Marzini non se la cava male con questa tecnica.
Questo è tutto, per oggi. Possiamo parlare di cliffhanger letterari o televisivi che ci hanno tenuto col fiato sospeso. O della volta che abbiamo usato questa tecnica in qualche nostro scritto.
Tenevi pronti, perché la prossima settimana vi parlerò di
E il nostro eroe? Per sapere se e come se la caverà dobbiamo attendere la prossima puntata.
Questo è un cliffhanger (che significa letteralmente “appeso alla scogliera” ), un espediente narrativo che consiste nell’interrompere la narrazione in corrispondenza di un colpo di scena, prima della sua risoluzione, in modo da tenere lo spettatore in tensione e con la curiosità di vedere la puntata successiva.
È una tecnica molto usata nelle serie televisive, dove spesso c’è una trama più breve, che si sviluppa e si conclude nell’arco della puntata, e una sottotrama che dura per tutta la serie o addirittura per più stagioni (e di solito nel finale di stagione c’è l’interruzione più emozionante e più brusca, perché deve tenere viva la fedeltà dello spettatore per un lasso di diversi mesi).
Non pensate che questa sia una tecnica solo televisiva e cinematografica: era già stata sfruttata da scrittori illustri come Alexandre Dumas padre con “I tre moschettieri” e Victor Hugo con “I miserabili”, entrambi usciti per la prima volta come romanzi d’appendice, ossia a puntate, pubblicati a cadenza settimanale su quotidiani.
E se non scriviamo a puntate? Questa tecnica si presta bene per tenere alto l’interesse del lettore a ogni fine capitolo. C’è chi la usa per introdurre nel capitolo 1 il protagonista, farlo conoscere al lettore e lasciarlo in una situazione aperta (meglio se rischiosa) a fine capitolo. Il capitolo 2 si apre con un altro personaggio e con una storia apparentemente slegata dalla precedente, che si conclude con un'altra situazione aperta, per riprendere nel capitolo 3 le fila del primo o aprire una terza trama con un terzo protagonista (che manco a dirlo verrà lasciata in sospeso). L’importante è che alla fine tutte le situazioni aperte vengano risolte e possibilmente in maniera originale e credibile, altrimenti è meglio che i lettori infuriati non vengano a sapere il nostro indirizzo di casa…
Stephen King è maestro in quest’arte, ma anche un certo Simone Marzini non se la cava male con questa tecnica.
Questo è tutto, per oggi. Possiamo parlare di cliffhanger letterari o televisivi che ci hanno tenuto col fiato sospeso. O della volta che abbiamo usato questa tecnica in qualche nostro scritto.
Tenevi pronti, perché la prossima settimana vi parlerò di
Yukie
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