Bianco e nero
di Giuseppe Novellino
Ron uscì dal banco di nebbia e si
arrestò sulla sommità del declivio. I pini scintillavano al sole
invernale. Un cielo cristallino sovrastava gli aspri rilievi e i
valloncelli ricoperti di neve.
Solo in quel momento vide l’uomo a
cavallo.
A una distanza di circa cinquecento
metri, un quadrupede albino portava in sella un uomo dal cappello ad
ampie tese e il mantello nero. Quella figura umana faceva contrasto
con la pigmentazione chiara del suo destriero, al punto che sembrava
fluttuare sopra la compatta distesa nevosa.
Ron cominciò a scendere per la dolce
fiancata della collina. In quel punto il manto era spesso e il suo
ronzino procedeva a fatica. Davanti a loro, sempre alla stessa
distanza, avanzava lo sconosciuto. Da quando aveva lasciato Laramie,
due giorni prima, Ron non aveva incontrato anima viva, quindi quella
comparsa gli mise addosso una certa agitazione.
Risalirono il versante di un altro
basso rilievo. Poi il cavaliere con il mantello scomparve in una
macchia di pini. Una coppia di falchi volteggiò sopra le cime degli
alberi. Un debole ululato si perse in lontananza.
Il sole era ormai alto. La neve
rifletteva bagliori accecanti.
– Questa era la terra dei Sioux
Lakota – pensò Ron a voce alta. – Dovrei trovarmi ormai dalle
parti del Little Bighorn.
Una decina di anni prima, in quella
zona, si era consumato il dramma degli indiani delle grandi praterie.
Adesso i pellerossa si trovavano nella riserva, dalle parti del White
River, e da loro non veniva più alcuna minaccia. Lungo la pista di
Bozeman, che Ron stava percorrendo, avevano cominciato a costruire
una ferrovia per facilitare il passaggio dal Wyoming al Montana. La
via a nord ovest, per raggiungere la West Coast, finalmente stava
diventando più agevole. Ma lui procedeva a piccole tappe, in
quell’inverno del 1886.
Quando Ron fu uscito a sua volta dal
boschetto di pini, rivide il suo misterioso compagno di viaggio.
Poiché si trovavano sopra un ampio pianoro, dove la coltre nevosa
appariva meno spessa, Ron spronò il cavallo, deciso a raggiungere il
tizio che procedeva sempre alla stessa distanza davanti a lui. Ma
quello manteneva il vantaggio e non sembrava essersi accorto del suo
inseguitore.
Prima l’uno e poi l’altro scesero
quindi verso un fiumiciattolo che appariva ghiacciato. Doveva essere
l’alto corso del Little Bighorn, pensò Ron, oppure il Togue.
Si fermò e stette un attimo a
riflettere. Se avesse attraversato una collina senza alberi che si
ergeva oltre la sponda destra del torrente, certamente avrebbe
tagliato la strada al suo misterioso compagno di viaggio e si sarebbe
trovato a faccia a faccia con lui.
Così fece. Si arrampicò in modo
agevole sul crinale poco innevato, raggiunse la cresta e scese
dall’altra parte. Ma quando scorse il cavaliere vestito di nero,
costui procedeva ancora davanti, a uguale distanza. Non era
possibile. Il percorso che Ron aveva fatto, scavalcando la collina,
avrebbe dovuto metterlo in posizione avanzata rispetto allo
sconosciuto. Allora provò a chiamarlo: – Ehi, laggiù! – Ma la
sua voce morì nello scenario congelato.
Po venne loro incontro un altro banco
di nebbia. Quando ne uscì, Ron vide due casupole costruite con
tronchi d’abete, in un punto dove la neve si ammassava più
abbondante che altrove. Dell’altro cavaliere nessuna traccia.
La luce del sole si era eclissata
dietro un nuvolone nero. Le tenebre invernali sembravano affacciarsi
in anticipo. Un lume era acceso dietro i vetri opachi di una
finestrella.
Ron si avvicinò al piccolo trotto,
reso faticoso dalla neve. Mentre smontava da cavallo, vide la porta
di una delle due costruzioni aprirsi. Sull’uscio comparve un
vecchio con i capelli grigi e una barba che gli arrivava fino al
petto. Indossava un giubbotto rattoppato e impugnava un fucile Sharp
per la caccia ai bisonti.
– Chi siete? – chiese con
diffidenza.
Ron, tenendo in mano le redini,
rispose:
– State tranquillo, non ho cattive
intenzioni. Sono diretto a Fort C.F. Smith. Non deve essere molto
lontano, vero?
– Ci vorranno un paio d’ore.
Arriverete con le tenebre. Per fortuna è luna piena.
– Okay – fece Ron sorridendo –
Potrei perdere una manciata di minuti per bere un goccio di caffè
caldo?
Il vecchio posò a terra il calcio del
fucile e disse:
– Giungete in un momento triste.
Ron gli lanciò un’occhiata
interrogativa.
– Una brutta febbre si è portata via
il figlio undicenne di mia figlia Florence.
In quel momento,si udirono singhiozzi
di donna attraverso la porta socchiusa.
Ron si strinse nelle spalle e annuì.
Domandò:
– Avete visto un tizio con un cavallo
bianco? Indossava un mantello nero, probabilmente di foggia militare.
Dovrebbe essere passato di qui, poco prima di me.
– No, mister. Di qui è passata solo
la morte.