La canzone di Belfast
di "tirofisso"Andrea Zanasi
«Te ne faccio un’altra, Danny?», chiese Paddy Brogan.
Danny Connelly guardò gli archi di schiuma che istoriavano il boccale
vuoto. Ci pensò un attimo, poi scosse il capo.
«Volentieri, ma non saprei come pagartela: sono più al verde della sfilata
di San Patrizio»
«Lascia perdere, Danny Boy. Questo giro lo offro io. L’ultima pinta, poi
chiudo bottega e ce ne andiamo a casa».
Danny osservò il barista mentre armeggiava con le spine. Ecco come sarò tra venticinque anni,
rifletté amaro. Un panzone gonfio di
Guinness, che tira le serate per le lunghe perché a casa non c’è nessuno ad
aspettarlo. Sempre se non crepo prima.
«Eccola: la miglior Guinness della città» disse Paddy, posando le due
pinte sul bancone. «Scommetto quello che vuoi che neanche
nella vecchia, fottuta Dublino ne trovi una migliore della mia»
«Secondo te ci sono mai stato, a Dublino?» rispose ridendo Danny.
«Perché, io sì? Ma posso dirti con sicurezza che con la mia stout sono pronto a sfidare la robaccia
di Dublino in un giorno qualsiasi dell’anno».
Danny sorrise. Era fatto così, Paddy Brogan: quando beveva gli si
manifestava un’inattesa indole competitiva, ma se esagerava diventava
nostalgico, e allora non lo sopportava più nessuno. Meno male che erano quasi
all’orario di chiusura.
«Se continui a darti tutte queste arie, a Dublino ci arrivi volando come
una mongolfiera, fanfarone», lo canzonò Danny. «Lo so che la tua birra è buona.
Infatti vengo a bere solo qua da te».
«Già: sei l’unico, a quanto pare».
Da un po’, infatti, tutta la vecchia clientela per qualche motivo sembrava
evitare quel pub come una nave di appestati.
«Certo però che dovresti dargli una rinfrescata, a questo locale, Paddy.»
disse Danny. «Cristo santo, puzza di muffa. Poi non c’è una seggiola uguale
all’altra, la tappezzeria è tutta rovinata e una lampadina su due è fulminata.
E i cessi fanno pena.»
«Oh, la vuoi piantare, criticone?» ribatté Paddy, punto sul vivo. «Non
sapevo che Vostra Grazia delle mie palle bollenti fosse abituato a locali di
altro tono! Se qua non ti piace puoi sempre cercare un altro pub dove andare a
sbronzarti. Sempre se trovi un altro coglione che ti offre le pinte e fa credito
a un fannullone del tuo calibro».
«Dai, non ti incazzare. Stavo scherzando».
Il barista brontolò qualcosa, dando un colpo di straccio al bancone,
mentre Danny frugava nelle tasche dei jeans alla ricerca di qualche spicciolo:
quelli che trovò non erano sufficienti a pagare una birra, ma sarebbero bastati
per un disco nel juke box. Infilò le
monetine nella fessura, digitò il codice e un attimo dopo Bruce Springsteen che
cantava Born To Run riempì il locale
con la sua voce calda. Danny ritornò al bancone canticchiando, e vide che
l’amico aveva preparato altre due pinte, segno che non se l’era presa.
«Bella, questa canzone. Parla di Belfast?» chiese Paddy strizzando
l’occhio, al punto in cui dice “questa città ti strappa le ossa dalla schiena”.
«Non credo, però ci sta».
«Oh, certo che un posto più rognato di questo non potevamo scegliercelo,
per nascere».
«Guarda il lato positivo, Paddy: Derry è ancora peggio».
«Anche su questo hai ragione, e ti confesserò una cosa, Danny Boy. Ma che
rimanga tra me e te. Io mi sono rotto i coglioni di Belfast e di tutte queste
storie. L’I.R.A., le bombe, la marcia degli orangisti figli di puttana.
Cattolici, protestanti, Maggie-baciami-il-culo-Thatcher, la gente che ha perso
il lavoro giù ai cantieri e non ha più i soldi per sbronzarsi, quel vampiro del
padrone che viene qua ogni mese a riscuotere l’affitto e mai una volta che si
faccia una pinta. Basta. Con Belfast ho deciso di darci un taglio. Questione di
giorni, al massimo di settimane, poi chiuderò questo cesso di pub e… bye-bye!»
«E cosa farai? Ti ritirerai nella tua lussuosa tenuta di campagna, con un
maggiordomo un po’ rincoglionito e un paio di magnifici cani da caccia?»
«Bravo, prendi pure per il culo! Vedrai, se racconto cazzate! Ti ho mai
detto che ho un cugino che vive in America?»
«Quello che fa il pompiere a Boston? Più o meno un milione di volte».
«Ebbene, sono riuscito a mettere da parte qualcosa: il tempo di sistemare
ancora un paio di faccende, poi andrò a stare da lui». esclamò Paddy, con un
sorriso trionfante sulla faccia gonfia da oste medievale.
«Cazzo, ma è magnifico, Paddy! Sono contento per te. E una volta che sarai
là, cosa farai?»
«Quello che ho sempre fatto: dar da bere agli assetati. Mi diceva mio
cugino che là c’è un casino di locali da prendere in gestione, basta saperci
fare e rimboccarsi le maniche. Poi, una volta che avrò in tasca un gruzzolo
sufficiente, aprirò un pub tutto mio».
«Non ho dubbi che ce la farai, Paddy: sei in gamba, e se c’è uno che sa
come mandare avanti un locale, quello sei tu».
«Come dicevo prima, basta saperci fare e rimboccarsi le maniche. Del resto
lo dicono tutti che l’America è la terra delle opportunità. E poi non sono
ancora vecchio e, con un po’ di fortuna, potrei trovare anche una brava donna
da sposare».
«Su questo non ci scommetterei un penny, ma mai dire mai». sorrise Danny.
«Senti, si è fatto tardi: domattina ho da fare la solita trafila all’ufficio di
collocamento. E’ meglio se vado a casa».
«Bene, Danny Boy. In bocca al lupo, allora».
«Crepi. Ci vediamo domani?»
«Certo. E se no, speriamo sia per colpa tua».
Era la battuta con la quale si congedavano sempre, ma quella sera Danny
non aveva voglia di ridere. Proprio nessuna voglia. Si incamminò verso casa con
le mani in tasca, unico passante in uno scenario postatomico, mentre il cielo aveva
iniziato a rovesciare acqua sporca su quelle strade dimenticate: nastri
d’asfalto sconnesso incuneati tra i blocchi anneriti e scalcinati delle case a
due piani. Calciò via un pezzo d’asfalto, sradicato dalla rabbia di una
settimana prima. Quel quartiere era una polveriera pronta a esplodere, e
l’aveva fatto per l’ultima volta in un sabato di sole primaverile, una di
quelle giornate in cui pensi che nulla di brutto possa accadere. Se non vivi a
Belfast. Un’auto della polizia era sfilata lenta lungo la strada principale,
quel sabato mattina. I passanti le avevano riservato le solite occhiatacce, ma
nulla di più. Nessuno aveva voglia di raccogliere la provocazione, e tutti
avevano continuato a fare come se niente fosse. Compreso un gruppetto di
dodicenni intenti a giocare a calcio in una laterale. Ad un certo punto uno di
loro aveva calciato male la palla, che era andata a colpire il finestrino
dell’autopattuglia. I ragazzini si erano messi a sghignazzare, ma non era
chiaro se prendevano in giro il loro compagno maldestro oppure gli sbirri.
Questi erano nervosi, e ancora prima di rendersi conto di cosa fosse successo
erano scesi dall’auto con gli sfollagente in mano. Vedendo il gruppetto di
ragazzi che ridevano, si erano precipitati verso di loro, sferrando
manganellate alla cieca.
«Vergogna! Sono solo dei ragazzini!» aveva gridato un’anziana signora affacciata
alla finestra, mentre una piccola folla aveva iniziato a radunarsi, e a
ingrossarsi sempre di più.
«Ho visto tutto! Conciateli per le feste, quei maiali!» aveva incitato la
vecchia.
E nessuno se l’era fatto ripetere due volte, compreso Danny, che passava
di là.
I due poliziotti si erano resi conto del loro errore, erano riusciti a
rifugiarsi in macchina, ma ormai erano circondati da una massa inferocita che
stava scuotendo la vettura.
«Bastardi! Uscite di lì, se avete coraggio!» aveva berciato un uomo, con
la faccia stravolta dall’odio.
«Assassini!», «Carogne!», «Inglesi rottinculo! Siete morti!» urlava la
folla, mentre alcuni ragazzi già saltavano come scimmie sul tettuccio
dell’auto, facendo saltare i lampeggianti a calci.
A un certo punto era arrivato di corsa il fabbro che aveva l’officina in
fondo alla strada, brandendo un grosso martello.
«Largo, gente!» aveva annunciato. «Adesso ci penso io a far uscire i topi
dal buco».
Aveva sfondato entrambi i finestrini con un paio di mazzate, tra l’esultanza
generale.
Danny era stato il primo ad agguantare uno dei due inglesi, tirandolo a
viva forza fuori dall’auto.
«Ti piace picchiare i ragazzini, vero? Pezzo di merda». aveva grugnito
mollando parecchi pugni sulla faccia dello sbirro. Diretti sganciati per far
male sul serio.
Poi l’aveva visto bene. Un ragazzo di vent’anni, forse al suo primo giorno
di lavoro, e dipinta sul volto l’espressione di una preda in trappola. Lì aveva
avuto un attimo di esitazione e gli era passata la voglia di massacrarlo, devastarlo,
rovinarlo per sempre.
Gli aveva mollato un ultimo manrovescio, poi aveva detto, quasi sottovoce:
«Vai, sparisci! Oggi è il tuo giorno fortunato».
E quello, con la divisa a brandelli, era corso via con l’energia disperata
dell’animale braccato.
Il suo collega più anziano non se l’era cavata così a buon mercato:
trascinato in un vicolo, era stato riempito di calci e bastonate e lasciato là
più morto che vivo, mentre l’autopattuglia veniva data alle fiamme.
«Eccoti servito, pezzo di merda!» aveva ringhiato un ragazzo con la maglia
del Celtic Glasgow, pisciando sul corpo privo di sensi del poliziotto. Era il
fratello di uno dei ragazzini presi a manganellate.
La risposta degli inglesi non aveva tardato a farsi sentire, ed erano
arrivati due blindati, accolti dalla musica infernale dei coperchi dei bidoni
della spazzatura sbattuti sui marciapiedi. Volavano sassi e molotov da una
parte, lacrimogeni dall’altra, mentre si accendevano dei corpo a corpo di una
violenza primordiale. La battaglia era durata fino a sera, quando la via era
stata sgomberata con gli idranti, e alcuni insorti erano stati caricati di peso
sui furgoni cellulari.
«Bravi, sarete contenti, adesso!» aveva gridato la vecchia di prima,
applaudendo ironicamente i poliziotti. «Tutto questo casino per una pallonata!»
Perché tutto quest’odio?
Perché tutta questa merda?, si ripeteva Danny rincasando.
«Perché? Perché?» urlò nella notte.
«Cosa fai, Danny Boy? Parli da solo come i matti?» risuonò all’improvviso
una voce alle sue spalle, e lui sussultò come punto da uno spillo.
«Porca puttana, Frankie! Mi hai fatto prendere una strizza fottuta!»
«Già, siamo tutti un po’ nervosi, mi sembra». ridacchiò l’uomo, un
quarantenne massiccio con una faccia che sembrava squadrata con l’accetta. Era
Frankie Costello, il leader di zona dell’I.R.A., uno dei partigiani più
intransigenti della lotta a oltranza contro l’invasore britannico.
«Puoi dirlo forte, cazzo. Dammi una sigaretta». chiese Danny ancora con il
cuore a mille.
Frankie ne aveva sfilate due dal pacchetto, offrendone una al ragazzo, e
per un po’ avevano fumato in silenzio.
«So che sei stato da Brogan, stasera.» disse Frankie all’improvviso. «Hai
saputo qualcosa? E’ vero quello che si dice in giro?»
Danny annuì: «Sì, me l’ha confermato prima: presto partirà per Boston».
«Porca puttana, allora non c’è tempo da perdere. Devi farlo domani».
«Cristo, Frankie. Ne sei proprio sicuro?»
Costello guardò Danny come si guarda un deficiente. Scosse il capo e sputò
per terra.
«Ascoltami bene, perché non te lo ripeterò un’altra volta: questa è una
guerra, e tu hai scelto da che parte stare. E sai meglio di me che fine fanno i
traditori. Secondo te, dove li ha rimediati i soldi per andare in America? Ha
trovato la pentola d’oro dei folletti?»
«Non ne ho idea, ha detto di aver messo da parte qualcosa…»
Frankie Costello iniziò a sghignazzare.
«Conosco quel figlio di puttana da una vita, e non ha mai avuto in tasca
un penny bucato. Te lo dico io, dove li ha presi quei soldi: sono la ricompensa
per aver venduto i nostri agli inglesi. Quel bastardo deve crepare: è la giusta
punizione per chi tradisce».
Danny deglutì e cercò le parole giuste. Aveva già ucciso diverse volte:
aveva piazzato alcuni ordigni e un anno prima aveva fatto parte del gruppo di
fuoco che aveva freddato sulla porta di casa un ispettore di polizia padre di
tre figli. Adesso però sentiva che era troppo, quello che gli stavano
chiedendo.
«Perché proprio io?» provò a obiettare.
«Perché sei l’unico di cui si fida, ecco perché! Se quello vede uno di noi
che ronza attorno al suo pub non sta niente ad avvertire gli sbirri».
«Cazzo, Frankie! Paddy Brogan è un mio amico!»
Frankie gli andò sotto, puntandogli l’indice nello sterno.
«E Mulligan, O’Brien e Maguire non erano forse tuoi amici?» ringhiò. «E’
grazie alle soffiate di quell’infame che adesso sono a marcire a Long Kesh.
Ricordatelo, prima di definire Brogan un amico! Il prossimo potresti essere tu,
a spalmare la tua merda sulle pareti della cella, mentre quel topo di fogna se
la spassa in America: pensaci se ti capita! Adesso non voglio sentire più
cazzate: se domani a quest’ora Brogan sarà ancora vivo ti riterrò responsabile,
e farete la stessa fine. Non hai scelta, Danny Boy».
Danny aveva due alternative davanti, e nessuna delle due era piacevole.
Ammazzare o farsi ammazzare. Del resto quella era la sua vita, da quando,
cinque anni prima, aveva deciso di aderire all’I.R.A. L’aveva fatto
all’indomani dei funerali di sua madre, colpita da una pallottola vagante
mentre rientrava dal lavoro. Danny aveva già perso il padre a dieci anni: un
infortunio sul lavoro, ai cantieri navali. Sua madre, per mandare avanti la
baracca, era andata a fare la domestica presso una famiglia di protestanti. Una
sera, rincasando, si era trovata in un corteo che protestava l’innocenza dei
cosiddetti Quattro di Guildford, condannati senza alcuna prova per un attentato
a un pub di Londra. Qualcuno aveva lanciato dei sassi, la polizia lealista
aveva aperto il fuoco a tradimento, e sul selciato di quelle strade maledette
erano rimaste tre persone. Frankie Costello si era avvicinato a Danny dopo che
la bara era stata calata nella fossa.
«Credo che adesso li odierai al punto giusto, quei porci». aveva detto
dopo avergli porto le condoglianze. «Sei un ragazzo coraggioso, Danny. Abbiamo
bisogno di gente come te. Non sei obbligato a dirmi di sì, ma ricordati che una
volta presa questa strada non si torna indietro».
Gli ritornarono in mente queste parole, mentre Costello lo osservava in
silenzio in attesa di una risposta.
«Va bene, lo farò». disse.
L’indomani, verso le nove di sera, Danny entrò nel pub di Brogan, e lo
trovò intento come sempre a pulire il bancone.
«Ciao, Danny Boy!» disse Paddy, con un sorriso ingiallito dalle sigarette.
«Paddy…»
«Com’è andata, al collocamento? Trovato qualcosa?»
«Niente di niente. Sembra impossibile, ma in questa città ti offrono un
lavoro solo se ne hai già uno».
«Non prendertela, amico. Andrà meglio la prossima volta. Birra? Offro io,
stai tranquillo».
«Vada per la birra. A buon rendere, socio».
Paddy preparò le pinte con la sua solita perizia: boccale inclinato a
quarantacinque gradi e riempito a tre quarti; un minuto e mezzo di attesa, per
poi riempirle fino all’orlo.
«A chi ci vuole male». disse facendo tintinnare il boccale con quello di
Danny.
«Che crepino». rispose Danny.
Per un po’ sorseggiarono la Guinnes senza parlare, mentre la mano di Danny
andò alla pistola che gli pesava in fondo alla tasca del giaccone, poi
all’improvviso ruppe il silenzio.
«Raccontami, Paddy: come sarà il tuo pub a Boston?»
Il volto del barista si illuminò di un sorriso da ragazzino.
«Oh, sarà un locale stupendo, mica una bettola come questa! Sarà tutto
rivestito in legno scuro, con dei poster colorati alle pareti, e un bancone
lungo dieci fottute iarde, con le spine lucide come monete nuove di zecca. Poi
ci metterò un caminetto, perché cos’è un pub irlandese senza caminetto? Così,
per starci attorno a bere nelle serate d’inverno. Magari comprerò anche un
televisore, uno di quelli moderni, a colori: una di quelle diavolerie con lo
schermo grande come quello del cinema, e la sera ci guarderemo le partite dei
Boston Celtics. Sarà sempre pieno fino a scoppiare, il mio pub. E non di
ubriaconi depressi come qua, oh nossignore! La ci gireranno i pompieri, e tutti
gli studenti dell’università verranno lì a sbronzarsi per festeggiare dopo aver
passato gli esami. Se mi dimostreranno di averli superati col massimo dei voti,
gli farò due birre al prezzo di una, così porteranno poi gli amici, e gli amici
degli amici e anche tante ragazze. Potrei anche montare un palco per far
suonare qualcuno, il sabato sera. Perché no? La musica non può mancare, in un
locale come quello che ho in mente. E quando sarà il giorno di San Patrizio,
faremo una festa che non ce ne sarà una uguale neanche nella vecchia Dublino:
tutti verranno lì vestiti di verde, e non permetterò a nessuno di uscire sobrio
dal mio pub. A nessuno, parola di Paddy Brogan». concluse, e la voce gli si
incrinò.
Si voltò verso Danny, e disse «Oh, al diavolo, Danny: basta con le
cazzate! Lo so per cosa sei qua, non sono mica scemo. Guarda che non me ne
frega niente, mi fai appena un favore: non riuscivo più a guardarmi allo
specchio, da tanto mi vergognavo di quello che ho fatto. Peggio dello
stramaledetto Giuda, ecco cosa sono. L’avrei fatta finita da me, se mi fosse
rimasto un briciolo di dignità. Avanti, fai quello che devi fare e non
parliamone più, prima però permettimi di darti una cosa».
Paddy infilò una mano sotto il bancone e ne sfilò una busta.
«Qui dentro ci sono soldi bastanti per un biglietto aereo per l’America, e
ne avanza anche qualcuno. Prendili tu, Danny Boy: meriti di andartene via per
sempre da questo cesso di città. Forse questo non mi basterà per non far
bruciare la mia anima all’inferno, ma servirà a te per ricominciare. Addio,
ragazzo. E’ stato un piacere bere con te l’ultima pinta della mia schifosa
vita. Un’ultima cosa voglio chiederti: vorrei crepare ascoltando la canzone di
ieri, quella di Bruce Springsteen che ti piace tanto».
«La canzone di Belfast». disse Danny con un sorriso triste.
«Già. La canzone di Belfast».
Alle otto del mattino successivo Danny prese un autobus diretto in centro.
Tutto il passato da cui non aveva voluto liberarsi era contenuto in una vecchia
borsa sportiva. Diede un’ultima occhiata al paesaggio che sfilava rapido fuori
dal finestrino. Il quartiere dov’era nato e cresciuto, con i suoi mucchi di
immondizia, i truci murales inneggianti all’I.R.A., i vetri spaccati e i primi
sfaccendati già a caccia di un pub dove riempire il vuoto delle loro vite
nell’unico modo possibile. Eppure, per quanto si sforzasse, non riusciva a
provare la stretta di nostalgia di un ragazzo che sta per dire addio alla città
dov’è nato. Anzi, l’ultimo pensiero era stato di rabbia, per quel posto
disgraziato.
«Addio, vecchia baldracca. Non mi mancherai neanche un po’». disse tra sé,
prima di scendere a una fermata del centro.
Per qualche minuto vagò senza meta per quelle strade che aveva visto di
rado, nei suoi ventiquattro anni di esistenza, come un anonimo passante perso
tra la folla. Il centro era tutt’altra cosa rispetto al suo quartiere: sembrava
quasi di trovarsi in una città normale, dove la gente va al lavoro senza la
paura di non rivedere più il portone di casa, e i giovani vanno all’università
a studiare e rimorchiare ragazze.
Poi entrò per la prima volta in vita sua in un’agenzia di viaggi. La
ragazza dietro il bancone aveva i capelli rossi ed era molto carina.
«In cosa posso esserle utile?» sorrise commerciale.
Danny spinse verso di lei la busta che gli aveva dato Paddy Brogan la sera
prima.
«Boston,» disse. «solo andata».